Dicono di Django

Per noi musicisti Django apparve come la perla rara, come l’eccezionale fenice trasportata dalle ere più lontane direttamente nel XX secolo  (Andrè Ekyan)

Il jazz è americano, ma la musica non ha patria. E il jazz è musica. Noi suoniamo un tipo di jazz che è in stretti rapporti con la cultura europea, ma è sempre jazz. Perchè il jazz ha regole espressive da cui non si può derogare”. (Django)

Esitavo allora a fare musica moderna sul più classico degli strumenti, il violino. Ma la convinzione e il genio di Django sgombrarono tutti i miei dubbi”. (Stephan Grappell)

Cambiava sovente i musicisti; una nota sbagliata lo faceva infuriare. Una sera un contrabbassista ha dovuto andarsene per non aver suonato in maniera levigata. Queste difficoltà musicali, dovute al fatto che lui era molto esigente, lo portarono a preferire che suonassimo in duo piuttosto di lavorare con altri musicisti (Sportis, Felix W.: “Stephane Grappelli,” in Jazz Hot, aprile 1993. Si tratta di una interessante intervista con Grappelli in cui vengono toccate alcune tematiche relative alla tecnica di Django e alla nascita del Quintette Du Hot Club De Franc)

Era un uomo che aveva in dono il senso della perfezione. In musica era molto meticoloso ed esigente con se stesso, ed era particolarmente attento al modo in cui suonava l’insieme” (Sportis, Felix W.: “Jean Sablon,” in Jazz Hot, aprile 1993. Intervista con il cantante francese che ricorda alcuni aspetti della personalità musicale del chitarrista)

Suonava tutto ad orecchio. Gli bastava ascoltare una sola volta per appropriarsi subito di un tema e ricreare delle armonie ancora più belle delle originali. Era un fenomeno, e lo faceva con naturalezza.
Non aveva alcuna istruzione musicale, ma la musica era la sua lingua” (Sportis, Felix W.: “Jean Sablon,” in Jazz Hot, aprile 1993. Intervista con il cantante francese che ricorda alcuni aspetti della personalità musicale del chitarrista).

Il jazz mi attira perché vi trovo la perfezione della forma e la precisione strumentale che ammiro nella musica classica e che manca nella musica popolare in genere. (Django)

Uno dei grandi segreti tecnici di Django Reinhardt è che la sua chitarra è incredibilmente ben accordata. I suoi accompagnatori l’hanno sottolineato: quando si accordava, c’era già della grande musica” (Nabe, Marc-Edouard: “Nuage,” Le Dilettante, Parigi, 1993, pag. 31.)

Quella sera ero a suonare il sassofono in un club di Montparnasse e ad un certo momento vidi entrare dal fondo dei loschi individui… io ed i miei colleghi pensammo subito a degli strozzini venuti a riscuotere il pizzo… nella pausa mi vennero incontro… fu lì che incontrai Django e i suoi fratelli… mi chiesero di suonare il violino… io lo feci e da lì a pochi giorni dopo nacque il Quintette. (Grappelli intervistato a proposito dell’incontro con Django Reinhardt)

Perchè da solo non suono mai. Al massimo improvviso qualcosa al piano, ma niente di più. Django era anche lui così, non suonava mai da solo. Gli piaceva suonare per la gente (Sephano Grappelli)

Nel 1934 suonavamo tutti e due con l’ orchestra che animava i tè danzanti al Claridge sugli Champs Elysées. Nell’ intervallo Django aveva l’ abitudine di ritirarsi in una saletta da pranzo dietro l’ orchestra. Un giorno mi si ruppe una corda e lo raggiunsi là per accordare il violino con la corda nuova e la sua chitarra. Fu così che ci siamo messi a improvvisare per la prima volta insieme. E fu tale il piacere che, nei giorni seguenti, ci raggiunsero il fratello di Django e un altro chitarrista, più il contrabbassista Louis Vola. E’ stato così che è nato il Quintette du Hot Club de France (Stephan Grappelli)

Ogni volta che doveva descrivere per coloro che non l’avevano mai udita, la toccante, fugace e raffinatamente delicata melodia di quella chitarra, la memoria gli faceva difetto. Non vi era modo di descrivergliela. Dovevi ascoltarlo di persona, quel ritmo swingante e implacabile, con quegli ossessionanti riff in minore alla fine di ogni frase, ognuno dei quali conteneva tutte le sensazioni e i modi di una tragedia gioiosamente infelice di questa o di qualsiasi altra terra. E su tutto la singola corda pizzicata della melodia che seguiva invariabilmente il ritmo, muovendosi attorno a esso, dentro e fuori, con aggressivi arpeggi, sempre in movimento, senza esitazioni, senza mai perdersi e senza mai concedersi pause, spostandosi improvvisamente dal lieve e malinconico accento del jazz  all’aggressivo e rapsodico, esplosivo ritmo gitano che piange per la vita mentre la sfida, troppo veloce perché l’orecchio lo segua, troppo originale perché una mente possa capirlo, troppo complesso perché la memoria possa ricordarlo». [James Jones, From here to eternity]
“Of the 10 top guitarists around, Django is 5 of them” “Dei 10 migliori chitarristi al mondo, Django è 5 di loro” (cit.)

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